mercoledì 27 aprile 2016

DARK SOULS III - My Two Cents

Ho finito Dark Souls III circa due giorni fa. Comprato il giorno stesso dell'uscita, nell'Apocalypse Edition, ho finito la prima run in circa 30 ore spalmate in due settimane, una buona media. Esattamente come quella delle morti del mio personaggio, che si è mantenuta sulla solida statistica di una ogni dieci minuti. Oggi sono qui a raccontarvi quel che mi ha lasciato. Con l'attenzione a non fare spoiler.




Dark Souls III è una summa, un grande riassunto di una saga che in pochi anni è divenuta più grande persino di sé stessa. Il gameplay ermetico ma meravigliosamente bilanciato e coinvolgente, le ambientazioni ardite, le storie tristi e malinconiche del mondo e dei comprimari, il design di ambienti e mostri fuori da qualunque parametro tanto sono belli, l'atmosfera medievaleggiante. Tutte cose arcinote, che funzionano ancora alla grande grazie al ritorno del suo creatore originale, quell'Hidetaka Miyazaki che ha cominciato coi robottoni di Armored Core 4 ed è finito a ricordarsi che gli piacevano il fantasy e i librigame degli anni Ottanta.
Non sono qui per parlare di tutto questo, c'è già l'intero web che lo fa. Ciò di cui mi preme dire qualcosa è accennare la storia e il messaggio che potrebbe esserci dietro il nostro far muovere un personaggio all'interno di Lothric.

Dark Souls III è un viaggio ciclico all'interno di un mondo incenerito e stanco, dove siamo gli ultimi arrivati in una storia che da noi si aspetta solo il finale, e l'impresa che ci viene richiesto di compiere ha il sapore amarognolo dell'imitazione. Il "vincolare il Fuoco", da elemento portante e fondatore di un'era, è divenuto un rituale consumato e morboso, teso a portare avanti un presente che, per quanto funzionante, si è progressivamente drenato di ogni significato. Nel voler combattere il buio e le sue incertezze, l'universo narrativo di Dark Souls si è maledetto alla ricerca di una luce effimera, e nella sua ingenuità ha portato avanti una sopravvivenza lontana dall'ambizione del cambiamento. Dopo innumerevoli accensioni e spegnimenti di questo Fuoco tutto è dolorosamente guidato, ineluttabile, predestinato.

Ognuno dei personaggi che incontreremo nel corso di questo ennesimo pellegrinaggio alla ricerca dei Lord (boss compresi) è legato a questo destino, a questo auto-sacrificio che ci si illude sia "per il bene superiore" e che esclude alla base il libero arbitrio. Niente dettagli, quelli saranno materia per altri post. Quel che conta è essere consapevoli che stiamo attraversando, per l'ennesima volta, un mondo dove gli ideali sono solo fonte di disperazione ed esistono ancora perché il non seguirli sarebbe anche peggio.

Quindi, quella di Dark Souls III non è una filosofia né un monito, bensì il voler ricordare a noi, giocatori oltre lo schermo, quanto sia importante prendere decisioni per sé stessi, e che la "ribellione", ovvero il provare qualcosa, la sperimentazione, la disobbedienza a qualcosa che per noi è insensato, è cosa che dona senso al nostro agire in quanto ci da la possibilità di forgiare per nostro conto il nostro destino.

Quindi, ecco la tematica di ques'opera, ecco quel messaggio che ti si abbarbica al cuore incollandosi a forza di fallimenti e vittorie al ventricolo sinistro. Dove Dark Souls uno parlava dei Potere e dei suoi effetti nefasti e Dark Souls II parlava del Desiderio, ecco che Dark Souls III rivendica al contrario proprio l'individualismo e l'Arbitrio, facendo vedere quanto terribile può essere l'esistenza a lasciar fare tutto alla predestinazione. Oltre che una delle ragioni più concrete per credere ancora nel videogioco non solo come svago, ma anche come strumento di autoperfezionamento.

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Dark Souls. Semiotica del Raccontare in Silenzio (Amazon)


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